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Yunus. Troppa burocrazia, niente Grameen bank in Italia
di Antonietta Nembri
3 novembre 2010
Alla vigilia del Global social business in programma domani in Germania, Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace 2006 e fondatore della Grameen Bank in un’intervista al Corriere della Sera ha ricordato le ragioni che lo scorso anno lo portarono a rinunciare all’idea di aprire una filiale dalla sua Grameen Bank, che in Bangladesh ha dato speranza a milioni di persone e poveri, anche in Italia. «Ci piacerebbe aprire qui una banca ma la legge italiana è talmente complicata, servono molti soldi. Abbiamo rinunciato. Aprire istituti più piccoli per aiutare la povera gente sarebbe perfetto», ha spiegato Yunus che due settimane fa con il suo Grameen Creative Lab ha siglato un accordo con lo Ied (Istituto europeo di design) per creare un cattedra in Design for Social Business che ha l’obiettivo di fare ricerca per un capitalismo sociale e sostenibile.
Ma nonostante le difficoltà italiane il “banchiere dei poveri” non ha rinunciato ad avviare un programma di microcredito anche in Italia, non si tratterà di una vera e propria filiale della Grameen Bank. Per realizzarlo ha avviato un progetto con Unicredit Foundation e Università di Bologna per la creazione di un’intermediaria finanziaria che si ispira ai programma Grameen, un’associazione italiana che aderisce al programma Grameen, per l’avvio occorrerà attendere la soluzione di tutti gli aspetti legali. Per Yunus occorre distinguere microcredito da microfinanza: la seconda si occupa soltanto del credito «perciò abusa dell’idea originaria», spiega Yunus al Corsera. «Per noi sono strumenti per aiutare i poveri a cambiare la loro condizione, mentre c’è chi considera la povertà un’occasione per trarre profitto». E per sgombrare il campo da dubbi sottolinea come a differenza di alcune organizzazioni che chiedono tassi altissimi «noi chiediamo il 20%».
Insomma, etica e profitto sono conciliabili o no? E la risposta di Yunus è tranchant: «Alla fine non è possibile». Ma c’è un escamotage «possiamo limitare il profitto quando si tratta di povera gente. È facile sfruttare la situazione. Certe persone iniziano con una motivazione etica ma poi cambiano direzione. Per questo proponiamo il social business. Perché se dici che vuoi guadagnare un po’ allora devi quantificare quel poco e questo è il problema. Ma quando affermi che non cerchi il profitto questo è chiaro. Insomma, bisogna cambiare il modo di pensare».
Fonte del testo: Vita
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